[mio intervento all’assemblea di istituto – 1000 ragazzi – del Liceo di Scienze Umane di Alba il 6 e 11 dicembre]
Mi è stato chiesto di parlarvi della felicità.
Forse perché sorrido sempre, forse perché quando in televisione parlo delle tematiche ambientali e della necessità di agire in fretta il commento più frequente è: “ma come fa a parlare di rifiuti e inquinamento essendo ottimista?”
Ora, io non so se si può raggiungere la felicità, ma voglio provare a dirvi tre cose, a darvi tre ingredienti per provare almeno ad avvicinarla la felicità.
Prima di tutto voglio dirvi: pensate a voi stessi.
Ci raccontano sempre più spesso che dobbiamo ragionare come comunità, non usare l’io, ma il noi, che, se possiamo cambiare davvero le cose, non possiamo che farlo insieme, che dobbiamo fare squadra.
Sono cose vere intendiamoci, ma diffidate da chi vi obbliga a ragionare così.
Per fare squadra, per salvarsi insieme occorre prima di tutto essere consapevoli del proprio io.
Se vuoi che qualcuno sia felice vicino a te devi esserlo prima di tutto tu.
Se vuoi che il tuo compagno la tua compagna stia bene devi stare bene innanzitutto tu.
Un economista francese Jacques Attali ha usato in uno dei suoi ultimi libri un’espressione che mi è piaciuta molto: se vogliamo lavorare per un futuro migliore dobbiamo comportarci “egoisti altruisti”.
Ho studiato e cercato di capire cosa volesse dire ed ho tradotto questa sua espressione con altri due esempi.
Il primo mi viene dal catechismo.
Uno dei passaggi più famosi del Vangelo, che tutti abbiamo sentito letto ascoltato almeno una volta è quando Gesù dice: ama il prossimo come te stesso.
Ci hanno sempre commentato la prima parte della frase, dicendoci che dobbiamo essere bravi con gli altri, pensare ai più bisognosi, ai meno fortunati. Ma ci hanno detto sempre troppo poco sulla seconda parte: “come te stesso”.
Dobbiamo amare prima di tutto noi stessi, per riuscire ad amare al meglio gli altri.
Se non amo me stesso, sarà impossibile amare gli altri.
Il secondo esempio è più pratico.
Per lavoro spesso devo prendere un aereo. Cerco di limitarne al massimo l’utilizzo perché è molto inquinante, ma quando devo andare lontano sono costretto a imbarcarmi.
Credo che molti di voi siano saliti su un aereo e chi ancora non lo ha fatto ha certamente visto film o telefilm con scene girate sull’aereo.
In ogni caso pensate alle hostess e agli steward che vi raccontano le istruzioni di sicurezza per il volo.
Ad un certo punto vi dicono che se mai dovesse succedere un imprevisto, so che state facendo segni scaramantici, alcuni dei quali non si possono raccontare, va beh! Devono fare il loro lavoro e cercano di farlo al meglio! Comunque vi dicono che se la cabina si dovesse depressurizzare scenderebbero delle maschere per l’ossigeno.
Chi fornisce le istruzioni si raccomanda che la indossiate prima voi e poi aiutiate chi è in difficoltà ad indossarla.
Questo perché solo se state bene voi potete aiutare gli altri.
Questo è, secondo me, il primo ingrediente per provare ad imboccare il cammino verso la felicità.
La seconda cosa che voglio dirvi è: non accontentatevi mai!
Spesso nel gioco dei sinonimi confondiamo l’essere felici con l’essere contenti.
Voi, a differenza mia che ho fatto la scuola enologica, studiate latino.
Allora sapete che “contento” deriva da contenere, che se da un lato vuol dire essere appagati, soddisfatti, dall’altra significa limitare.
Allora non accontentatevi mai.
Non nell’avere, perché i beni sono effimeri, ma nell’essere.
Cercate sempre nuove emozioni, nuovi amici, nuove mete.
Non fermate mai la voglia di scoprire cose nuove, luoghi e posti nuovi.
Leggete, scrivete, intessete relazioni.
Oggi con i social per certi versi è anche più facile, ma andate in profondità.
Non svalutate le cose.
Ad esempio con i social corriamo il rischio di svalutare perfino gli aforismi.
Leggiamo una frase veloce e con un clic la condividiamo.
Ma così facendo in realtà non cogliamo nemmeno il significato vero.
Una storia che si legge spesso sui social è quella dei due amici che si incontrano; uno ha una mela e anche l’altro ha una mela; i due amici si scambiano la mela e se ne vanno con una mela ciascuno, a volte nella realtà accade anche che uno se ne vada con due e l’altro resti senza, ecco questo è avere!
Se invece uno dei due ha un’idea e l’altro anche ha un’idea, e se la scambiano, tutte e due se ne andranno con sue idee: questo è essere!
La differenza è che, nel secondo caso, è molto più probabile che entrambe siano felici.
Quindi per me il secondo ingrediente per cercare la via della felicità è non accontentarsi mai.
Mi è stato chiesto di venire a raccontarvi la mia idea di felicità dopo l’uscita dell’ultimo film a cui ho partecipato: Immondezza – la bellezza salverà il mondo per la regia di Mimmo Calopresti.
Forse perché le persone alle quali ho raccontato il film sono state colpite dal fatto che sembravo felice.
C’è qualcosa di più.
Cosi vi racconto il terzo ingrediente.
Quattro anni fa l’allora commissario europeo all’ambiente Janez Potocnik chiese ai colleghi dell’Associazione Internazionale per la Comunicazione Ambientale di coordinare per tutta Europa la giornata contro l’abbandono dei rifiuti, l’European Clean Up Day.
Con il Ministro Italiano all’Ambiente per promuovere l’iniziativa organizzammo un evento in collaborazione con le Ferrovie dello Stato, pulendo attorno alla stazione di Bologna Centrale, animando la rete FrecciaRossa con alcuni gruppi di bambini, e pulendo attorno alla stazione Termini di Roma.
L’evento andò bene, ma non ebbe l’eco che avremmo voluto.
Ero dunque alla ricerca di un’idea.
Volevo, come avrebbe detto Steve Jobs, unire tre puntini.
Volevo comunicare che purtroppo buttiamo troppi rifiuti a terra, non solo nelle nostre città, ma anche nei più sperduti sentieri di montagna, nei boschi, in campagna.
Volevo raccontare l’enorme quantità di rifiuti che galleggiano o che sono affondati nei nostri mari, tra i 5 e i 10 milioni di tonnellate solo di plastica all’anno finiscono nei corpi idrici.
Volevo evidenziare un dato che pochi conoscono, ovvero che 3 rifiuti su 4 presenti in mare, cioè il 75% arriva dall’entroterra.
Land based dicono gli inglesi.
In pratica cosa noi buttiamo per terra qui ad Alba, a Torino, a Milano, a Berlino o Parigi prima o dopo finisce in mare, portato dalle piogge dai torrenti dai fiumi.
Pensavo a come raccontare con efficacia queste tre cose, quando un giorno incontro un mio amico che corre in montagna, Oliviero si chiama il mio amico.
Quel giorno Oliviero mi racconta che, in un momento complicato della sua vita, per passare vacanze alternative, aveva corso da Aosta a Ventimiglia attraverso le montagne.
Appena me lo ha detto ho pensato: Aosta è per tutti la montagna, Ventimiglia è al mare.
La corsa è quella che fa il rifiuto che noi buttiamo. Sui sentieri che si attraversano si possono raccogliere i rifiuti.
– allenami e lo rifacciamo insieme! Gli dissi.
Così tre anni fa, nel 2015, io che non avevo mai corso in vita mia, mi sono ritrovato a fare 400 km con 20mila metri di salita in 8 giorni!
Ho vomitato, è venuta la croce rossa e i medici a rianimarmi, i fisioterapisti a cercare di rimettermi in quadro, zoppicando sono però arrivato fino in fondo.
La corsa ha funzionato!
L’abbiamo chiamata KeepCleanAndRun – Pulisciecorri.
L’anno dopo, nel 2016, siamo andati da San Benedetto del Tronto a Roma, dal mar Adriatico al mar Tirreno.
E quest’anno dal Vesuvio all’Etna.
Le prime due corse le ho raccontate in altrettanti libri, quella di quest’anno è diventata un film.
15 milioni di italiani sono in qualche modo venuti in contatto con la corsa e con il messaggio.
Il tutto ha funzionato a tal punto che gli organizzatori di grandi corse in montagna mi hanno chiamato come testimonial.
Io che a stento arrivavo al fondo, mi trovavo con campioni d’Europa o del mondo al fianco.
È stato quando la Regione Val D’Aosta mi ha chiesto di partecipare come testimonial ambientale dell’ultra trail più duro del mondo, 340 km e 28mila metri di salita da percorrere in massimo 150 ore, che ho cercato un allenatore.
È così che ho chiesto ad una persona che conoscete bene perché è un vostro professore, Roberto Menicucci, di allenarmi.
Ho imparato tanto dalla corsa.
Ho imparato che per arrivare in fondo ci vuole passione.
Passione, altra cosa che abbiamo imparato dal catechismo, significa sofferenza.
Per arrivare in fondo bisogna soffrire.
Così quando parto per una gara so che soffrirò, se la gara è di più giorni, come quelle che preferisco, so che avrò delle crisi, anche più di una al giorno, crisi di fame, di vomito, di sonno, di scoraggiamento, di male alle gambe, e poi ancora e ancora.
Ma so che le crisi arrivano per essere superate e permettermi di arrivare alla fine.
Ecco il terzo ingrediente: per camminare verso la felicità bisogna soffrire, affrontare le crisi.
Se soffrite con il vostro compagno o la vostra compagna è perché vi state confrontando, se siete in crisi con qualcuno è perché c’è relazione vera.
Questo ho provato a dirvi sulla felicità: amate voi stessi, non accontentatevi e mettete passione.
Buona vita.